Asociación para el estudio de temas grupales, psicosociales e institucionales

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L´esperiencia di apprendere. Alcune riflessioni sul lavoro di gruppo con gli insegnanti. R Picciulin


L’esperienza di apprendere

Rodolfo Picciulin


L’esperienza
Questa breve comunicazione riguarda un progetto preventivo dalla sostanze stupefacenti   che abbiamo chiamato “l’esperienza di apprendere” .
Il progetto, avviato nel 1998, e durato cinque anni,  si è svolto a Gorizia. Era stato avviato a partire  da una  richiesta di un nucleo di professori delle scuole superiori che si erano  rivolti a dei professionisti (la nostra equipe- quattro psicologi) che operavano da tempo in questo ambito terapeutico specifico.
Avevamo  accolto  questa prima richiesta  e pur avendo la possibilità di  centrare il nostro  intervento sulle conoscenze specifiche della problematica tossicomanica, (che avrebbero sicuramente “accontentato” una curiosità diffusa che è sempre presente davanti ai temi confinanti con la malattia)   sapevamo che  le cose non sono mai esattamente come vengono presentate.
Per questo motivo abbiamo pensato che  per soddisfare (veramente) la domanda   era necessario mettersi tutti insieme a osservare i problemi, senza perdere di vista l’assetto principale dell’intervento preventivo, che per noi, era composto dalla triade che legava  l’insegnante all’allievo nel  comune  compito di apprendere.
Valeva quindi la pena di passare dalla mera informazione sul tema inizialmente richiesto a qualcos’altro, qualcosa che aveva a che fare col riunirsi a vagliare insieme i problemi esistenti, esaminando attentamente e con interesse le difficoltà che gli insegnanti incontravano con  gli studenti .
La sola informazione – infatti-  non dà comprensione:
è  solo la fatica comune di  vivere l’esperienza (e  coinvolgimento emotivo che ne deriva)  che favorisce il vero apprendimento e  questo poteva nascere solo  dal lavoro insieme, in piccoli gruppi, in uno spazio dove poter legare ed  elaborare informazione  e pratiche quotidiane.
Ed è questo che abbiamo proposto.

Alcuni appunti.
Il lavoro  si è articolato in una serie di percorsi di ricerca e di conoscenza, differenziati ma interdipendenti, che hanno coinvolto  il corpo docente di diversi  ordini scolastici, con un lavoro in piccoli gruppi coordinati dalla nostra équipe e con dei seminari  sulle  tematiche inerenti la relazione educativa, la conoscenza dello sviluppo infantile e adolescenziale, le dinamiche del gruppo-classe. 
Il discorso sulla prevenzione ha permesso di ampliare lo sguardo e la riflessione sulla scuola intesa come uno dei più importanti spazi di vita del bambino e dell’adolescente e, in quanto tale, un luogo fondamentale nella costruzione della loro identità.


L’esperienza formativa  è durata cinque anni, e questo lungo cammino  è stato segnato sicuramente da molti eventi, interni ed esterni.
Non posso  segnalarli tutti, ma trovo opportuno indicare alcuni “transiti” che hanno a che fare con lo sviluppo  del processo avviato (con i docenti)  e che per questa ragione vanno segnalati.

Innanzitutto indicherei il passaggio dalla normale e diffusa voglia di guardare in termini psicopatologici (che spesso si accompagna all’idea di individuare i ragazzi a rischio, per fissarli in una categoria che comporta una schematizzazione anche della loro famiglia) ad una migliore conoscenza delle turbolenze del periodo adolescenziale.
Sono state proposte agli insegnanti delle lezioni per conoscere meglio le caratteristiche di questo periodo vitale, ancora soggetto alla naturale spinta evolutiva. Questo momento teorico ha avuto il suo corrispettivo esperienziale nell’entrare a contatto, all’interno del gruppo, con i propri stati emotivi, molte volte vicini e simili agli stati mentali degli adolescenti.
Questo spostamento è stato reso possibile dalla nostra presenza quali coordinatori che potevano impersonare, nel qui e ora  del gruppo, il mondo degli adulti, quel mondo di cui sono  rappresentanti abituali , in ogni giorno di lavoro,  gli stessi insegnanti.
Farci sentire  ciò che provavano nella loro faticosa funzione di professori contrastati, o semplicemente ignorati, è stato per gli insegnanti il primo mezzo per liberarsi dal disagio personale, ma anche la prima occasione per ripensare il problema, e forse per poterlo elaborare.

L’altro elemento decisivo della strategia generale dell’intervento è stato quello di proporre alcune  lezioni teoriche sul tema della prevenzione.,
Questo è un argomento soggetto di per sé a molte ambiguità.
Il termine prevenzione suggerisce immediatamente l’idea di evitare che gli eventi si verifichino, e si accompagna alla fantasia  che se i problemi vengono individuati subito,  sono maggiori le possibilità di impedire l’insorgenza della “malattia”. Quando si tratta di “igiene mentale”, però, questo schema semplice non funziona a dovere perché i fatti sono più complicati di quanto si creda.
Se prestiamo attenzione a come si sono presentati i conflitti nel microcosmo di questa esperienza di lavoro, vediamo che la richiesta di occuparsi della prevenzione delle droghe,  parte da insegnanti delle superiori, gli unici che effettivamente incontrano gli adolescenti ogni giorno. Questi  si trovano davanti a giovani che sfiorano il comportamento delinquenziale, e vogliono impedirlo .
Tutti sappiamo che l’ adolescenza è una  “età in cui i nodi vengono al pettine”, ma questi nodi riguardano per forza la storia infantile precedente. Solo che questa riedizione dei vecchi problemi viene vissuta dagli adolescenti  alla luce del loro improvviso sviluppo fisico e sessuale, che li fa sentire falsamente grandi, ma ancora incapaci di padroneggiare il mondo in cui vivono. Ma questi (gli adolescenti)  lo avvertono come se fossero gli adulti che non reggono, che sono inadeguati e inaffidabili.
Per questo  motivo ogni adulto che essi incontrano diventa oggetto di attacchi o di venerazione. Chi, come gli insegnanti, frequenta ragazzi quotidianamente nel proprio lavoro, viene scosso dall’oscillazione perenne di questi stati mentali che prendono la forma di comportamenti spesso provocatori.
Dicevamo che la richiesta  era partita dagli insegnanti abbiamo perciò   cercato di illustrare l’adolescenza come ciclo evolutivo naturale, che contiene molti esiti possibili, puntualizzando al tempo stesso le vere grandi questioni che un intervento preventivo presuppone.
Durante il quinto e ultimo anno delle del lavoro formativo  le maestre delle materne e delle elementari entrano a far parte dell’esperienza.
Proprio loro che sono direttamente a contatto con i piccoli.
Ed è questo, a mio parere, un ulteriore passo significativo  di questo intervento: una idea per coinvolgere nell’esperienza  tutti i protagonisti che appaiono in scena nel percorso scolastico.


A posteriori penso possa essere stato un risultato, che sebbene inatteso, sia dipeso dall’uso attento e costante degli strumenti della comprensione (=suggerito dagli emergenti  gruppali  che lo indicavano) come si fa in ogni  lavoro clinico, e che richiede pazienza e dedizione nel seguire lo sviluppo del  processo.

A questo punto vorrei porre delle questioni che mi sono state suggerite dalla rilettura del materiale raccolto. In alcuni passi vengono riportati per esteso dei commenti degli insegnanti sul loro lavoro: Si avverte in genere, in questi passaggi, un particolare sconcerto rispetto al proprio mestiere, che intacca la sostanza stessa della loro funzione educativa. Come se gli insegnanti non si fidassero del valore del loro lavoro, e neppure del senso del loro insegnamento.
Colpisce il disagio che viene espresso, e colpisce in particolare la sfiducia generale nell’atteggiamento di base, come se non ci si potesse aspettare nulla di diverso da quanto sta già accadendo.
 Viene da riflettere sul nostro intero sistema educativo, che si fonda innanzitutto sulla pura acquisizione di informazioni.
Sembra che si tratti soltanto di accumularle per essere in possesso del sapere: se ci si informa si può conoscere tutto.
La sensazione di onniscienza viene perpetuata da questa idea di fondo.
 All’interno di questa logica non compare alcuna preoccupazione per le modalità di un apprendimento che vada oltre la semplice informazione. Si continua a credere che ulteriori dati possano essere indispensabili per arrivare ad un sapere più esauriente.
L’adolescente, a sua volta, tende, per ragioni che dipendono dal suo periodo evolutivo, a sentirsi comunque onnisciente.
Si potrebbe dire che egli non si trova ancora nelle condizioni di poter immaginare che ci sono molti aspetti di cui non riesce a farsi una rappresentazione mentale.
Il paradosso sta nel fatto che mentre gli adulti credono di essere sempre meno importanti come figure di riferimento (che è il messaggio che arriva dai ragazzi), gli stessi ragazzi, in realtà, restano poi per anni in posizioni infantili di base, che richiedono un costante rifornimento da parte dei grandi.
Diventa allora fondamentale che non si faccia avanti in modo massiccio, tanto da diventare schiacciante, la tendenza ad abbandonare ogni tentativo di apprendimento che si fondi sull’esperienza personale significativa, a favore di un addestramento che sviluppa le abilità solo sul terreno dell’obbedienza uniforme, lasciando in secondo piano lo sviluppo individuale complessivo.
In realtà, il ruolo degli adulti che intervengono nelle diverse tappe della crescita non è mai secondario, ed è nostro compito e dovere non prendere alla lettera l’indifferenza e il disinteresse dei giovani.
Se gli stessi insegnanti finiscono per abdicare alla loro funzione educativa, allora, pur restando formalmente e istituzionalmente nel loro ruolo, essi depongono semplicemente le armi.
A sua volta non possiamo sottovalutare l’enorme pressione cui sono sottoposti nel loro mestiere.
Abbiamo già sottolineato come le basi del sistema educativo di cui gli insegnanti fanno normalmente parte comportino un’esaltazione costante del dovere di accumulare informazioni. Ma se si crede che tutto si riduce a questo, allora essi stessi troveranno nei mezzi informatici dei concorrenti irraggiungibili, visto che i ragazzi li sanno usare assai meglio di loro.
Mi pare opportuno evocare ancora Meltzer, il quale sosteneva che l’attività psicoanalitica si colloca nell’area delle funzioni dedite alla crescita, esattamente come la funzione educativa.
Sappiamo che l’incontro tra queste due professioni non è facile, così come son lungi dall’essere scontate le buone relazioni tra genitori e insegnanti. Ognuno dei protagonisti corre infatti il rischio di ritenersi proprietario esclusivo dell’unica chiave che dà accesso alla conoscenza dei piccoli. Ma un autentico lavoro comune si dà solo dove ciascuno mette in gioco se stesso, accantonando ogni pretesa di possesso esclusivo della verità.(sul rapporto si veda articolo sulla funzione genitoriale)
L’esperienza che abbiamo potuto condurre,  propone  un modo di lavorare che è completamente a favore di un investimento dell’esperienza dell’apprendere come ingrediente indispensabile dell’evoluzione personale – sia essa quella dell’allievo da far evolvere o quella dell’insegnante che deve tener viva la propria funzione.
 Il metodo dell’intervento può essere considerato, come suggerito più volte, il metodo clinico, nel senso che si fonda sull’osservazione, esige il suo setting particolare e proviene dall’insieme della teoria psicoanalitica applicata in un ambito diverso dalla stanza di consultazione.


Qualche parole su come intendiamo un intervento preventivo

Penso che la prevenzione si basi proprio sul concetto di promuovere  la crescita, e lì, ci si trovava appunto di fronte a situazioni o nodi problematici che segnalavano momenti di difficoltà o di blocco nel processo di sviluppo.
Nel gruppo con gli insegnanti talvolta venivano presentate situazioni problematiche che ci portavano  ad esplorazioni “multiple”, (dal vertice dell’allievo, del  gruppo classe, dell’insegnante e dell’Istituzione scolastica che ospitava l’esperienza) cioè  visioni possibili da più angolature nel tentativo di cogliere le  diverse articolazioni di cui erano espressione,  e i loro possibili legami.
Il percorso, come dicevo, si è mosso nel tentativo di far funzionare una équipe, (non solo la nostra ma anche quella dei docenti coinvolti))  in cui tutti potessero partecipare condividendo  l’esperienza di lavoro e andando alla ricerca di   possibili significati  rispetto a  quanto ascoltavano e vedevano all’interno della scuola e a quanto avvertivano  nelle relazioni con gli studenti.
 Tutto ciò  a partire da quanto  vivevano nel qui e ora dell’esperienza gruppale.

 Si andava così   definendo “ un metodo d'osservazione“ (arricchito dall’esperienza che svolgevano come integranti-partecipanti)  necessario per avvicinarsi  al materiale proposto per la discussione.
Questo metodo,   a sua volta  incoraggiava  la  fiducia negli strumenti adoperati, in particolare coinvolgimento  tutto il gruppo in una diversa attenzione e una costante preoccupazione circa le modalità d'apprendimento (che loro proponevano  a scuola) che venivano comparate a quanto avvertivano  all’interno del  loro gruppo.
Ed è questo il modo in cui  abbiamo   potuto cominciare ad affrontare le difficoltà portate dagli allievi all’attenzione dei docenti (integranti il gruppo).
Rispetto ad un’acquisizione di mere informazioni che a volte erano  soltanto accumulate come altrettanti libri che vengono deposti nella loro  biblioteca (esterna e interna) ,  voleva  essere un tentativo di attraversare insieme la fatica della comprensione,  condividendo la  ricerca  e  passando attraverso    un' esperienza che li  coinvolgeva, come i loro alunni,  a partire dal compito comune che si erano dati (pensare la prevenzione).


Tempi di formazione, tempi di apprendimento d’apprendimento, tempi di crescita.

Il progetto  formativo un tempo.  E non a caso.

Abbiamo già detto  che talvolta il processo formativo, sia che riguardi l’insegnante che l’allievo, finisce per configurarsi come mera acquisizione d’informazioni  ( o delle “ultime novità in tema di “) o una ricerca di tecniche,magari veloci,  valide per tutti e facilmente impiegabili  in tutte le situazioni.
E’un’idea onnipotente e purtroppo molto diffusa  che tende ad evitare il nostro personale coinvolgimento nella relazione educativa.
Quest’ultima   se vuole veramente “formare” ci riconduce   a porci domande circa l’ identità di ognuno di noi,  in continuo movimento tra una possibile crescita e un ritorno all’indietro..
Ma sono proprio queste oscillazioni  che nascono dalle nostre pratiche quotidiane (che ci coinvolgono a livello cognitivo ed emozionale) che costituiscono un interessante terreno d’osservazione che da   significato  a quanto ci accade e costituiscono i migliori strumenti di ricerca e di comprensione del campo a cui partecipiamo.
 Sono il sale della vita, l’essenza del  sogno che ripesca tra le vecchie immagini e le recenti suggestioni  un nuovo discorso che  ci da forma, ci configura attraverso le vicissitudini delle relazioni che abbiamo vissuto (da allievi, studenti, fino ritrovarsi professori) e oggi viviamo nel mondo professionale e personale. (si veda un interessante articolo di Bauleo in merito)

In questo senso, come si vede, il processo d’apprendimento e di crescita, presuppone uno spazio di riflessione,  un’appartenenza ad un gruppo, come quello che abbiamo proposto agli insegnanti,  un tempo necessario per la “digestione” dei contenuti che, usando la metafora digestiva di Bion,  richiede lunghi percorsi da fare insieme.
Niente fast food,quindi, perché  l’approfondire,   a differenza dell’aggiornarsi, esige il rispetto dei tempi d’elaborazione  di ognuno, e che noi non possiamo conoscere a priori.
 Qualcosa che ha più a che vedere  con la qualità del rapporto  che con la quantità di nozioni accumulate. Sembra che solo così possiamo configurare  la nostra particolare  forma, e  possiamo mantenerci  “in forma”.
Ci fa intravedere un movimento tra un prima e un dopo,  una forma nuova che se confrontata  con quella passata  (come eravamo noi lo scorso anno scolastico o dieci anni fa?)  ci permette  di “giocarci” nelle nostre relazioni che viviamo, investite dal nostro interesse, motivazioni, attese, speranze, delusioni, rabbie, sofferenze, paure e cosi via.
 Se potremmo  riconoscere tutto questo  come qualcosa che ci appartiene  potremmo anche  riconoscerlo  negli occhi dei  giovani che entrano  ogni mattina nelle nostre classi.


Per concludere
Non è  difficile riconoscere in questo percorso formativo la dimensione del “viaggio”che non produce tanto un accumulo di  tecniche  meccaniche e anonime da applicare in maniera indiscriminata, ma piuttosto effetti significativi sulla propria identità professionale che forniscono  un bagaglio di conoscenze personali costruite sul campo che permettono di riportare nella scuola la propria  vita, quel bagaglio che ognuno sembra costretto a lasciar fuori dalla porta ogni mattina, come ce le descrive Onofri: “Entro e porto in classe sempre più la mia maschera, non me stesso. Insegno non il mio sapere, con i suoi limiti e con le sue urgenze, bensì il sapere impersonale, agnostico ragionevole.”
Vorrei chiudere queste brevi note  proponendo  alcune considerazioni di Donald Meltzer, 
Meltzer  diceva, in una delle sue ultime interviste, che i valori sono suscettibili di cambiamento, e oggi inseguono le mode. La moda viene generata dall’industria dello spettacolo e dai mezzi di comunicazione, che sono valori di mercato, e che, quindi, non hanno un valore permanente; sono valori di natura narcisistica e intensamente egocentrici.
Questa linea di tendenza, che intacca il valore dei mestieri formativi  della personalità e li degrada a funzioni secondarie, è enormemente rischiosa.
Uno dei modi in cui questa tendenza si manifesta è l’insidioso disinvestimento della propria capacità educativa : un processo pericoloso per gli stessi professori.
E’ in questo senso che diventa necessario offrire agli insegnanti  spazi in cui la loro preziosa attività sia soggetta d’attenzione e interesse, in modo da avviare un movimento che ridia vitalità ad una funzione che,  se non investita,  finisce per scadere,  nonostante sia mantenuto formalmente il ruolo.  

II Parte.

Appunti sul primo progetto: un anno di osservazione e conoscenza
La scuola media superiore,presso la quale ci era stato chiesto di intervenire, la possiamo pensare come un’istituzione che ha come compito la formazione di soggetti in età adolescenziale.
Per formazione intendiamo  quel compito complesso che comprende non solamente la trasmissione delle conoscenze a livello informativo, ma che  considera anche l’aspetto relazionale e psicopedagogico in tutta la sua complessità.

La possibilità di partecipare a questo progetto era stata offerta ai docenti di tutti gli istituti superiori della provincia di Gorizia, in particolare ai referenti per la salute, che hanno il compito di curare progetti ed iniziative volte a promuovere un lavoro di prevenzione del disagio giovanile, nelle sue diverse espressioni.
Il secondo obiettivo di questo progetto di prevenzione, oltre a quello di osservazione e conoscenza della scuola, non voleva essere quello di dare soluzioni e risposte definitive, bensì di offrire un’introduzione teorica sui fattori che condizionano e determinano le modalità relazionali con i singoli allievi e con il gruppo classe, e sugli aspetti psicologici dello stato mentale adolescenziale.
Terzo obiettivo era quello di definire un luogo dove poter favorire il confronto fra i docenti, a partire dalle informazioni teoriche e dall’esperienza quotidiana del loro lavoro con gli studenti.
Dal punto di vista metodologico, si era privilegiato il lavoro in piccoli gruppi, composti da un minimo di otto partecipanti ad un massimo di quindici, al fine di consentire un maggiore coinvolgimento ed approfondimento delle tematiche; inoltre,  favorendo l’interazione tra i partecipanti e la loro reciproca conoscenza in relazione al compito del seminario, era possibile rendere particolarmente significativa l’esperienza.    
Il seminario prevedeva due giornate di lavoro della durata di tre ore ciascuna, suddivise in una parte d’informazione teorica ed in un’altra di discussione in gruppo. Si richiedeva  ai docenti la partecipazione volontaria e la disponibilità ad essere presenti ad entrambi gli incontri.
Gli argomenti delle relazioni presentate erano i seguenti: “Dal famigliare all’estraneo: territorio e percorsi dell’adolescente” per l’approfondimento del tema relativo allo stato mentale adolescenziale, e “Gruppo e costruzione dell’identità”, come introduzione ai meccanismi di funzionamento gruppali.
Gli incontri si tenevano presso la sede di ogni istituto scolastico, pertanto ogni gruppo di lavoro era composto da docenti della stessa scuola.
A seguito di questo primo seminario, dopo la pausa estiva, con la ripresa dell’anno scolastico, si erano svolti altri due incontri  con gli stessi gruppi di docenti già coinvolti precedentemente. Si trattava, in questo caso, di incontri di ‘restituzione’, ossia uno spazio dove poter restituire al gruppo dei docenti le nostre riflessioni a partire dalle questioni emerse dal materiale e poste all’interno degli incontri seminariali.
Gli incontri  di restituzione avevano come finalità quella di dare ai docenti la possibilità di riconoscere le proprie potenzialità e difficoltà grazie ad un processo di elaborazione e di chiarimento relativo al materiale appartenente al gruppo stesso. Questo ci permetteva, inoltre, di “costruire” un rapporto di continuità,  a distanza di un certo periodo di tempo, e di dare un ulteriore occasione di confronto facendo emergere nuove riflessioni.
I temi, dell’adolescenza e del gruppo,  affrontati nell’ambito seminariale volevano introdurre due argomenti che sono, a nostro avviso, fondamentali per il compito di formazione e di insegnamento all’interno di un contesto istituzionale che utilizza il gruppo come strumento di elezione, e che lavora con soggetti in età adolescenziale.
Importante, infatti, era poter avvicinarsi a quelle che sono le caratteristiche ed i meccanismi peculiari dello stato mentale adolescenziale,  che sappiamo  mettere a  dura prova l’adulto che svolge una funzione educativa.
L’adolescenza è stata  definita da diversi autori come una fase del ciclo evolutivo caratterizzata  principalmente da momenti burrascosi e da un’importante stato di sofferenza psichica. Meltzer  ne parlava come “quel luogo dove siamo stati e che abbiamo attraversato in un momento della nostra vita e che stiamo ancora cercando di capire ciò che ci è accaduto” ( Meltzer  1991)  e sottolineava la difficoltà di accedere direttamente allo studio di questo momento evolutivo, per il fatto che l’adolescente vive principalmente nel proprio mondo  che non è  in comunicazione con quello adulto. La comunità adolescenziale, continua Meltzer, si colloca tra quella dei bambini e quella degli adulti, in una continua oscillazione tra le due, in uno stato di perenne confusione tra sé e l’altro, tra identità femminile e identità maschile, fra ciò che è bene fare e ciò che non lo è; ancora, in atteggiamenti di idealizzazione e denigrazione continui, connotati dall’indifferenza e dal cinismo.
Per un altro verso, l’adolescenza rappresenta anche un’età in cui si dischiudono potenzialità fondamentali che porteranno il giovane ad interagire direttamente con la realtà esterna,  passando così dall’onnipotenza dell’immaginazione alla potenza e alla possibilità di incidere  sul mondo esterno, trasformandolo.
Quindi, proprio per questa complessità e per questa sua turbolenza, dove le emozioni assumono forti colorazioni,  risuonando e caratterizzando fortemente le relazioni non solo con i coetanei, ma anche con gli stessi adulti e quindi genitori, insegnanti ed educatori in genere, conoscere le modalità di funzionamento dello stato mentale adolescenziale  ed il modo dell’adulto di rapportarvisi, costituisce senz’altro un importante e imprescindibile strumento di lavoro.
Il secondo tema affrontato nell’ambito del seminario, riguardava il funzionamento e le dinamiche gruppali ed il gruppo come luogo di costruzione e di formazione dell’identità. L’introduzione a questa tematica è, a nostro avviso, altrettanto fondamentale per coloro che operano all’interno della scuola: sappiamo che il fatto di organizzare il lavoro scolastico attraverso la composizione dei gruppi-classe non è solo una questione economica e di risparmio di energie.
Sebbene il gruppo rappresenti il luogo dove nasciamo (la famiglia) ed il luogo dove cresciamo, dove ci formiamo, dove ci divertiamo e dove lavoriamo ecc..(pensiamo non solo  alle classi scolastiche, ma ai gruppi ricreativi, sportivi e di lavoro..), tendiamo a non dare, in questo caso nel lavoro scolastico con gli studenti, al gruppo-classe l’importanza fondamentale che invece riveste nell’apprendimento individuale, sia nel caso delle difficoltà che inevitabilmente si presentano, sia come luogo e strumento di lavoro e quindi nella sua potenzialità e ricchezza. Diciamo che tendiamo a considerare il gruppo, in qualche modo, come un fatto scontato e come uno sfondo, anziché come elemento significativo che ci può permettere di comprendere meglio determinate situazioni e comportamenti.
In tal senso, possiamo pensare l’istituzione scolastica stessa come un insieme di  gruppi che interagiscono dinamicamente al loro interno e fra di loro – quali il gruppo classe, il gruppo docenti, i gruppi ricreativi, i gruppi gestionali – e diventa fondamentale l’osservazione di tali dinamiche al fine di cogliere i significati comportamentali per migliorare la qualità delle relazioni e consentire ai loro “attori” di vivere situazioni e relazioni che favoriscono la crescita e la formazione dell’identità.  Questo può rappresentare un modello, a nostro avviso, per favorire la comprensione prima e, poi, per strutturare un contesto di promozione della salute e quindi di prevenzione.
A conclusione di questo primo anno di lavoro si era poi proceduto con l’organizzazione di una Tavola Rotonda alla quale hanno partecipato i docenti coinvolti nei seminari, dove è stato possibile mettere in comune le riflessioni ed osservazioni relative alle problematiche emerse nel lavoro svolto. Da questo incontro conclusivo allargato si sono evidenziati  i temi generali che hanno  rappresentato il punto di partenza  di un nuovo progetto di prevenzione della durata di quattro anni* . Questo secondo progetto di prevenzione aveva poi coinvolto, gradualmente, anche altri livelli scolastici, dalle scuole materne agli istituti superiori, con lo scopo di realizzare una continuità tra le scuole, continuità intesa come adozione di un metodo  e di un linguaggio comuni tra gli insegnanti.
Otto sono stati gli istituti superiori della provincia di Gorizia che hanno partecipato al primo progetto, dove la tipologia delle scuole che aderivano a questa iniziativa, con l’eccezione di un unico Liceo, riguardava gli istituti tecnici e professionali.
Il motivo principale di partecipazione da parte di questi istituti era sicuramente dato dalla presenza di un forte disagio, tra gli insegnanti, di una sofferenza e di una sensazione di inadeguatezza e impotenza di fronte a numerose e gravi situazioni di difficoltà non solo di apprendimento ma anche di partecipazione e frequenza della scuola da parte degli studenti.Inoltre, venivano riportati numerosi e ripetuti casi di  comportamenti provocatori, anche di una certa gravità.
Diversi degli studenti che frequentavano questi istituti provenivano da famiglie problematiche, numerosi i casi di fallimenti scolastici ripetuti, una  tendenza all’acting-out, alcune situazioni psicopatologiche . Si trattava, quindi, di situazioni particolarmente gravi che richiedevano un intervento di tipo specialistico e che i docenti della scuola cercavano in qualche modo di contenere. Certamente erano situazioni, in alcuni casi, che avevano avuto già un’evoluzione patologica, pertanto non potevano certo essere più oggetto di prevenzione, o comunque presentavano una situazione di partenza molto dura che richiedevano condizioni e strumenti di contenimento particolari, di cui la scuola non dispone. Situazioni di una certa difficoltà di cui i docenti denunciavano una forte difficoltà a relazionarsi.
Tuttavia, era questa la situazione che ci si presentava: dovevamo dunque partire offrendo agli insegnanti uno spazio dove portare queste preoccupazioni e difficoltà per riuscire poi gradualmente a chiarire il compito di questo progetto, iniziando da un’idea di prevenzione della patologia specifica così come ci veniva presentata.
A partire da tutto questo diventava per noi possibile entrare in contatto con il mondo della scuola facendo una prima conoscenza  delle problematiche principali e formulando delle ipotesi relative alle modalità ed ai suoi meccanismi di funzionamento, con lo scopo di avviare un processo di trasformazione dell’idea di prevenzione nella scuola non più centrata su aspetti e comportamenti psicopatologici individuali, bensì sull’idea di sviluppo di un contesto relazionale ed educativo promotore di relazioni sane e di crescita e quindi di salute, definendo le funzioni e i ruoli ad essa collegati, ed in quale modo la prevenzione si intreccia alla funzione educativa.

Conclusión

La richiesta che la Provincia ci rivolgeva, in qualità di professionisti che lavoravano da anni nel settore della cura delle tossicomanie, riguardava un progetto di formazione per i docenti degli istituti medi superiori in relazione alla prevenzione dell'assunzione di determinate sostanze da parte degli adolescenti.Quindi un progetto di prevenzione del sintomo tossicomanico nei giovani, vale a dire l'instaurarsi di una psicopatologia certamente tra le più gravi e distruttive che oggi possiamo osservare.Dall'esperienza clinica, in questo campo, sappiamo che il sintomo che si  presenta, in realtà, consiste in un comportamento coatto, che copre un profondo disagio ed uno stato di intensa sofferenza psichica che il soggetto tenta di "curare" attraverso l'assunzione di sostanze stupefacenti. Sappiamo, inoltre, che la psicopatologia si origina e si struttura a seguito di un mancato sviluppo individuale, si tratta cioè di un processo di crescita che in qualche modo ha subito un arresto evolutivo.
Intervenire sul sintomo, certamente non può essere compito della scuola, e, tanto meno, dell'insegnante, in quanto una struttura di personalità patologica richiede, naturalmente, interventi terapeutici di tipo specialistico.
In questo senso, possiamo pensare che la prevenzione dell'insorgere della psicopatologia tossicomanica, e non solo di questa particolare patologia, ma in generale le situazioni di disagio e di sofferenza psichica, richiedano un'altra modalità ed altri strumenti. Sappiamo che l'individuo nasce e riceve le sue prime cure all'interno del gruppo famigliare, ma ben presto ha bisogno di differenziare e di integrare le sue esperienze primarie con nuove situazioni relazionali significative, in questo senso, l'esperienza scolastica, che copre in media l'età dai tre ai vent'anni, rappresenta per il soggetto una nuova appartenenza che sarà fondamentale per la sua crescita e lo sviluppo della propria identità. Sarà nella scuola che il bambino e l'adolescente troveranno nuove e diverse figure adulte altamente significative, con le quali potrà identificarsi ed alle quali potrà fare riferimento. Possiamo dire che la scuola ha, insieme alla famiglia, la funzione di accompagnamento e di sostegno del bambino e del ragazzo nel suo percorso di sviluppo e nel suo processo di crescita. Tutto questo pone, di conseguenza, alla scuola e all'insegnante, un compito particolarmente difficile e non riducibile alla semplice trasmissione di conoscenze ed informazioni. La scuola diviene un luogo dove lo studente vive nuove esperienze di apprendimento in una complessa rete di relazioni con il gruppo di coetanei e con gli adulti di riferimento. In tal senso, l'attenzione per le relazioni studente-insegnante, e insegnante-studente, tra studente-gruppo classe e gruppo classe-studente, e, aggiungiamo tra studente-compito dell'apprendimento, riveste un'importanza fondamentale al fine del compito educativo e formativo. In altre parole, un buon funzionamento dell'interazione all'interno dell'ambiente scolastico (in tutti i suoi aspetti individuale e gruppale) è ciò che fonda un discorso di prevenzione. Prevenzione, dunque, intesa come promozione delle occasioni di integrazione dell'individuo con l'ambiente sociale in cui egli vive e cresce, quale concezione positiva della salute e rappresentazione di ciò che è indispensabile al “nutrimento” ed alla crescita mentale del bambino e dell'adolescente. La scuola, preoccupandosi di tutelare e di proteggere i delicati meccanismi che regolano le interazioni tra l'individuo ed i suoi gruppi di appartenenza, svolge la sua funzione di accompagnamento del bambino e del ragazzo adolescente nel suo sviluppo. Offrendo la possibilità di vivere esperienze relazionali ed apprendimenti diversi da quelli famigliari, la scuola consente all'individuo di integrare e di arricchire ulteriormente la propria personalità. Ciò può essere particolarmente vero nel caso dell'adolescenza, in quanto momento particolare dello sviluppo individuale, dove si rimettono in gioco emozioni e sentimenti primari che avevano trovato un "assetto" provvisorio nell'infanzia e nella latenza, e che ora dovranno strutturare un nuovo equilibrio e dare origine ad un'identità più adulta.
 Da questo primo lavoro con gli insegnanti emergevano una serie di quesiti relativi all'identità e al compito dell'insegnante e della scuola. In particolare, ci si chiedeva quali strumenti sono necessari per poter meglio osservare e cogliere il senso e significato di determinate situazioni e comportamenti che appaiono nel corso della quotidianità scolastica. Inoltre, quali  caratteristiche deve avere la funzione educativa e quali le sue implicazioni con la prevenzione, quale concetto di apprendimento/insegnamento, come strutturare uno "spazio di pensiero" per gli insegnanti dove poter riflettere, confrontare e pensare le difficoltà, gli interrogativi e le emozioni suscitati dalla quotidianità del lavoro con gli studenti. Ci si chiedeva, quindi, quali strumenti e conoscenze sono necessari per un insegnamento che tenga conto della complessità di una funzione che ha come compito principale la formazione dell'individuo, e non si riduca, viceversa, ad un semplice “travaso” di informazioni.
 A partire da questo primo approccio conoscitivo della realtà scolastica, emergeva la necessità di un nuovo progetto di formazione destinato ai docenti delle scuole, progetto che tenesse conto della complessità del compito formativo di bambini e ragazzi e soprattutto partisse dal considerare come punto di partenza non le situazioni patologiche, il sintomo, ma le situazioni di interazione nella quotidianità. Pertanto, la nuova proposta formativa dal titolo: "La realtà scolastica come luogo possibile di promozione della salute e di formazione dell'identità", che prevedeva quattro anni di lavoro con incontri mensili di informazioni teoriche, elaborazioni in gruppi di lavoro ed approfondimenti tematici seminariali.
A partire dal fatto che lo strumento principale di lavoro nel campo educativo e formativo è rappresentato da noi stessi, al fine di acquisire ed interiorizzare una metodologia di osservazione e di comprensione dei fenomeni comportamentali si rendeva necessario definire uno spazio di lavoro costante e continuativo che consentisse gli approfondimenti teorici necessari, nonché l'elaborazione ed internalizzazione necessari. Si poteva, a questo punto, realizzare il passaggio “dalla  patologia alla salute", da un atteggiamento che dava attenzione soprattutto a situazioni e comportamenti particolarmente eclatanti, ad un atteggiamento che prestasse attenzione a situazioni che si presentano nella quotidianità dell'insegnamento. Questo permetteva, inoltre, agli insegnanti di ricollocarsi al proprio posto, uscendo da una confusione di ruoli e di definire meglio la loro funzione ed identità. L'elemento che si imponeva, dunque era quello delle situazioni quotidiane e della loro complessità data dall'interazione reciproca. Ogni comportamento è il frutto di relazioni interpersonali, in rapporto al compito dell'apprendimento, comportamento il cui significato e senso risulta molte volte difficile da cogliere e che spesso rappresenta una sfida nei confronti degli adulti.  In questi momenti i vissuti degli insegnanti possono essere caratterizzati da confusione, disorientamento e senso di impotenza: sentimenti che mettono a dura prova la possibilità di mantenere attenta e vitale la relazione con gli studenti ed il senso di identità stesso dell'insegnante. Per questi motivi risulta necessario definire un tempo uno spazio continuativo nell'esperienza di formazione.
E' importante, inoltre, sottolineare come non esistono facili soluzioni e tanto meno risposte e tecniche preconfezionate per far fronte ai problemi psicopedagogici. Ciò che si può acquisire è la capacità di tollerare meglio e di affrontare in modo più adeguato le difficoltà dei rapporti interpersonali, assumendo così quella funzione educativa e di insegnamento che consiste nell'accompagnare il bambino e l'adolescente nella sua crescita e sviluppo. Le capacità richieste ai docenti sono certamente la conoscenza dei contenuti da trasmettere, ma anche la capacità di gestire i vissuti e le emozioni connesse alle situazioni di apprendimento, sviluppando la capacità di ascolto, di osservazione, di accoglienza delle emozioni che inevitabilmente vengono suscitate dal processo di apprendimento. Gestire gli aspetti relazionali implica porsi in relazione con gli aspetti più fragili dell'allievo, con le sue parti più primitive che necessitano di trovare un interlocutore adulto che le contenga e dia loro un senso. Solo così l'apprendimento può diventare un'acquisizione che integra, struttura ed arricchisce la personalità dell'individuo garantendone la crescita ed un rapporto sano con la realtà ed il mondo esterno, diversamente da un apprendimento che coinvolge solamente la parte intellettiva e razionale che non può che portare ad apprendimenti superficiali e di tipo imitativo.


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